Dopo aver già guidato il marchio in anni cruciali, Håkan Samuelsson torna alla guida di Volvo a 74 anni. Il suo rientro non è un semplice ritorno nostalgico: l’azienda svedese affronta ora sfide molto più dure, tra vendite deludenti, ritardi nei modelli a batteria e una concorrenza globale senza precedenti.
Elettrico sì, ma con una tappa intermedia
Volvo resta convinta che il suo futuro sarà a emissioni zero, ma i tempi si allungano. L’obiettivo di vendere solo auto elettriche dal 2030 potrebbe slittare di qualche anno. Samuelsson lo dice senza giri di parole: l’infrastruttura di ricarica non è ancora all’altezza e la domanda resta limitata.
Ecco perché i plug-in hybrid tornano protagonisti come tecnologia di transizione. “Più velocemente elettrifichiamo, più forti saremo” ammette il manager, “ma bisogna restare pratici e realistici”.
EX90 rinviata, EX30 trasferita
Il lancio ritardato della EX90, la grande SUV elettrica di punta, è costato milioni all’azienda. A complicare il quadro ci si mettono anche i dazi su auto cinesi in Europa e Stati Uniti. Per questo la produzione della EX30, la compatta elettrica più richiesta, è stata spostata dalla Cina al Belgio, in modo da aggirare gli ostacoli commerciali.
“Le perdite spiegano i numeri in calo,” ha spiegato Samuelsson, “ma abbiamo un piano solido per rimetterci in carreggiata.”
Geely: vantaggio o ostacolo?
La maggioranza azionaria di Volvo è nelle mani di Geely, il colosso cinese. Un fatto che, a differenza di altri costruttori europei, Samuelsson non vede solo come un problema. In Cina marchi come BYD, Xiaomi e Zeekr dominano già oltre metà del mercato e ora stanno spingendo forte anche in Europa.
“La pressione è enorme, ma la nostra partnership con Geely ci offre un vantaggio strategico,” spiega. Niente joint venture più strette, però: la strategia resta quella della regionalizzazione, adattando produzione e modelli ai diversi mercati.
Il nodo americano
Se in Europa la concorrenza cinese è il nemico da battere, negli Stati Uniti Volvo deve affrontare un ostacolo politico. A causa del legame con Geely, si parla addirittura di un potenziale divieto di vendita. Samuelsson, però, mantiene i toni calmi: “Siamo una società quotata con governance severa. Nessun dato finisce in Cina e nessun modello contiene componenti cinesi. Lo spiegheremo alle autorità.”
Una previsione spietata
Lo scenario tracciato dal manager svedese è tutt’altro che roseo. Secondo lui, entro dieci anni l’auto sarà completamente elettrica e allo stesso tempo più economica, ma il mercato globale potrà sostenere soltanto pochi grandi player: qualche marchio europeo, alcuni americani e due o tre giganti cinesi.
“La verità è semplice: il resto sparirà.” Un avvertimento duro, ma che sintetizza bene il livello di competizione che attende l’industria automobilistica.
Una guida a tempo determinato
Samuelsson definisce la sua nuova avventura alla guida di Volvo come temporanea. Il contratto durerà due anni, giusto il tempo di preparare un successore. Il suo approccio resta diretto, quasi disarmante: “Quando niente funziona, resta solo una cosa da fare: dire la verità.”
E la verità, per lui, è che il futuro dell’auto elettrica sarà una selezione naturale. Solo i più rapidi, forti e innovativi resteranno in piedi.
