Sempre più automobilisti abbandonano l’elettrico per tornare alla benzina: ecco perché

Scritto da Daniele Bianchi

C’è chi con l’elettrico si trova benissimo e chi, dopo l’entusiasmo iniziale, fa marcia indietro. La verità è che l’auto giusta dipende dal modo in cui vivi: percorrenze, tempi, accesso alla ricarica domestica. Quando questi tre fattori non si allineano, anche l’esperienza più “green” può trasformarsi in una corsa a ostacoli.

Quando la realtà supera le aspettative iniziali

Stella, ristoratrice di Tolone, aveva scelto una compatta a batteria per ridurre l’impronta ambientale. Senza presa in garage, però, la quotidianità è diventata un tetris tra turni di lavoro e colonnine pubbliche spesso occupate o fuori servizio. Un giorno, direzione Aix-en-Provence: 40 minuti persi davanti a una stazione guasta e altri 20 per trovarne un’altra. Dopo mesi di range anxiety e pianificazioni maniacali, ha venduto l’auto e ripiegato su una piccola a benzina. Delusione? Un po’. Sollievo? Anche.

L’auto aziendale che diventa un impegno scomodo

A Christophe, commerciale sempre in viaggio, l’azienda ha affidato un SUV elettrico. Tecnicamente, nulla da dire: scatto, comfort, assistenze alla guida. Ma senza wallbox a casa, due o tre soste da 30–35 minuti a settimana ai fast charger sono diventate ore sottratte a clienti e famiglia. “Alla prossima assegnazione torno al termico: non è una guerra di tecnologie, è una questione di tempo”. Una considerazione che i manuali di costo totale di possesso (TCO) mettono spesso nero su bianco: l’elettrico funziona benissimo se l’infrastruttura personale c’è.

L’elettrico che mette a rischio il lavoro

Claire è infermiera in Haute-Corse: 150–200 km al giorno tra salite, notti e reperibilità. La sua citycar elettrica, sulla carta sufficiente, in inverno non reggeva il ritmo: freddo, dislivelli e riscaldamento hanno limato l’autonomia reale fino al primo carro attrezzi, poi al secondo. “Il mio lavoro è già stressante, l’auto non può aggiungere incertezza.” È tornata a un diesel compatto: scelta pragmatica, non ideologica.

Il nodo infrastrutture

La discriminante, in tutti i racconti, è la infrastruttura di ricarica pubblica: disponibilità incerta, guasti, app diverse e metodi di pagamento non uniformi. Gli osservatori del settore e le agenzie pubbliche (come i report di IEA o delle autorità nazionali per l’energia) ricordano che la rete cresce, ma la qualità del servizio è altrettanto decisiva: affidabilità, manutenzione, assistenza. Chi ha una presa privata vive un’esperienza fluida; chi dipende dalla strada deve mettere in conto tempi e piani B.

Quando l’elettrico funziona

Stéphane ha una berlina elettrica e un impianto fotovoltaico sul tetto: ricarica di notte, costi bassi, niente code. “Non tornerei indietro” dice. Anche il vicino, Vincent, conferma: con la presa in garage l’auto si ricarica “mentre dormo” e la spesa per 100 km resta contenuta. È l’esempio perfetto di ecosistema che funziona: veicolo adeguato, infrastruttura personale, percorsi compatibili.

Uno scenario in evoluzione

Il 2025 sarà un anno di aggiustamenti: tariffe elettriche più volatili, rete in espansione ma ancora disomogenea, arrivo di modelli con oltre 500 km dichiarati e listini in calo… ma non sempre popolari. Le associazioni dei consumatori e i club automobilistici europei suggeriscono una prova lunga prima dell’acquisto e un confronto onesto tra esigenze reali e offerta locale. In sintesi: l’elettrico non è per tutti oggi, come non lo era il diesel per chi faceva solo tragitti brevi. Funziona quando stile di vita, infrastruttura e prodotto vanno nella stessa direzione.

Daniele Bianchi
Daniele Bianchi
Daniele Bianchi, nato a Milano nel 1980, è una figura di spicco nel giornalismo automobilistico italiano. Fin dalla giovane età ha nutrito una passione per le moto e le automobili, che lo ha portato a laurearsi in Comunicazione e Giornalismo all'Università di Bologna. Fondatore di Italiano Enduro, Daniele è conosciuto per la sua competenza tecnica e il suo stile narrativo coinvolgente.
Pubblicato in: Tendenze