Le 19 moto più brutte mai costruite: una classifica senza pietà

Scritto da Daniele Bianchi

La moto, per chi la guida e per chi la ammira, è sinonimo di libertà, passione e bellezza meccanica. Ma non sempre i designer hanno centrato l’obiettivo: accanto a capolavori intramontabili, la storia delle due ruote è popolata anche da esperimenti discutibili, soluzioni troppo avanti per i tempi e flop estetici che ancora oggi fanno sorridere (o rabbrividire) gli appassionati.

Esperimenti di design finiti male

Negli anni Novanta, l’Aprilia Motó 6.5 disegnata da Philippe Starck voleva portare il design industriale su due ruote. Il risultato? Un mezzo più simile a un elettrodomestico che a una moto sportiva. Non è raro trovare collezionisti che la definiscono un “frullatore su ruote”.

La francese BFG 1300, del 1982, montava un motore Citroën e pesava quasi 270 kg. Più che un mezzo a due ruote, sembrava una piccola auto travestita da moto. Anche la Bimota DB3 Mantra non sfuggì alle critiche: nata con l’idea di osare, finì per sembrare appesantita e poco elegante, tanto da dividere anche i fan più fedeli del marchio.

Quando l’aerodinamica non basta

Alla fine degli anni Ottanta, la BMW K1 sembrava arrivata dal futuro: carenature massicce, colori sgargianti e studiata in galleria del vento. Ma più che innovativa, fu giudicata ingombrante e poco armoniosa. Stessa sorte per la BMW R1200 ST, con un frontale così particolare da far nascere leggende su una scommessa interna al reparto design.

Aprilia La Motó 6.5

Troppa potenza, poca grazia

Negli Stati Uniti la Boss Hoss BH-3 LS3 montava un V8 Chevrolet da sei litri: un mostro da oltre 500 kg, impressionante da guidare ma esteticamente goffo. Anche la Buell 1125CR, pur avanzata dal punto di vista tecnico, non convinse con il suo frontale, paragonato più volte a un roditore.

Boss Hoss BH-3 LS3

Italiane da dimenticare

Neppure le grandi firme italiane sono immuni. La Ducati Paso 750, firmata Tamburini, tentò la strada della carenatura totale ma non conquistò i cuori dei ducatisti. La Ducati 999, sebbene vincente in pista, rimase indigesta per i suoi fari verticali e le linee troppo spigolose.

Visioni futuristiche troppo avanti

La Honda NM4 Vultus del 2014 sembrava uscita da un fumetto cyberpunk: metà scooter, metà custom, metà navicella spaziale. Forse troppo per il mercato reale. La Honda Pacific Coast PC800, invece, puntava tutto sulla praticità ma fu bollata come una moto-scooter poco affascinante.

Honda Pacific Coast

Scommesse stilistiche poco riuscite

Il frontale della Kawasaki Versys 1000, con i fari sovrapposti, spiazzò molti motociclisti tanto che pochi anni dopo arrivò un restyling correttivo. La KTM 690 SM era leggera e divertente, ma le sue linee spigolose e il becco pronunciato divisero il pubblico.

Colossi meccanici senza eleganza

Negli anni Sessanta, la Münch Mammuth montava un motore Opel da quasi un litro: un “elefante meccanico” più che una moto equilibrata. Nel 2005 la MZ 1000 SP prometteva prestazioni valide, ma il suo frontale inquietante non aiutò la popolarità.

MZ 1000 SP

Design azzardati diventati cult

La Suzuki Katana GSX1100S del 1981 all’inizio fu criticata per la sua spigolosità estrema, ma oggi è un oggetto di culto. La Voxan VX10, invece, con i suoi doppi fari e codone sdoppiato, restò sul mercato solo due anni. Anche la francese Venturi Wattman, elettrica e poderosa, impressionò per potenza ma con le sue forme sproporzionate restò un esercizio di stile più che una moto desiderata. La Yamaha TDM 900 era affidabile e versatile, ma il suo design “funereo” le valse soprannomi poco lusinghieri come “testa di morto”.

In fondo, il fascino delle moto passa anche attraverso i suoi errori: modelli che, pur brutti o sproporzionati, raccontano un’epoca e dimostrano che l’azzardo, nel design, non paga sempre. Alcuni finiscono dimenticati, altri diventano cult, ma tutti hanno lasciato una traccia, seppur discutibile, nella storia delle due ruote.

Daniele Bianchi
Daniele Bianchi
Daniele Bianchi, nato a Milano nel 1980, è una figura di spicco nel giornalismo automobilistico italiano. Fin dalla giovane età ha nutrito una passione per le moto e le automobili, che lo ha portato a laurearsi in Comunicazione e Giornalismo all'Università di Bologna. Fondatore di Italiano Enduro, Daniele è conosciuto per la sua competenza tecnica e il suo stile narrativo coinvolgente.
Pubblicato in: Tendenze