Motore ad acqua: funziona davvero? Il test che lascia gli esperti senza parole

Scritto da Daniele Bianchi

Avete presente quelle idee che sembrano uscite da un romanzo di fantascienza e poi, improvvisamente, finiscono su un banco prova? Ecco: un motore che usa idrogeno e… acqua nebulizzata per farlo lavorare meglio. L’ho visto in azione in un centro prove: un tecnico, con la calma di chi ha passato più ore con un oscilloscopio che al mare, mi ha detto: “Guarda la temperatura di scarico”. Era più bassa del previsto e, soprattutto, stabile. Non magia: ingegneria.

Idrogeno, energia in cerca di riscatto

Di idrogeno parliamo da anni, ma la vera sfida è renderlo competitivo e davvero “pulito”. Qui entra in gioco il cosiddetto idrogeno verde, prodotto da elettrolisi alimentata da rinnovabili: è la strada indicata da commissioni e piani europei per la decarbonizzazione dei trasporti (si veda, tra gli altri, il lavoro della Commissione Europea e i report IEA sull’energia). Il problema? Costi e infrastrutture. Finché elettrolizzatori e rete di rifornimento non scaleranno, l’idrogeno resterà una soluzione di nicchia. Ma la ricerca non si ferma, e quando l’innovazione tocca anche i motori “tradizionali”, le cose si fanno interessanti.

Esempio reale: chi fa lunghe percorrenze con veicoli commerciali conosce bene i tempi di sosta; un powertrain a idrogeno con rifornimento rapido potrebbe offrire continuità operativa senza rivoluzionare turni e logistica, come sottolineano da anni studi di settore (IEA, ACEA).

Quando l’acqua entra in gioco

L’intuizione di AVL Racetech è tanto semplice quanto efficace: usare l’iniezione d’acqua per raffreddare, diluire e stabilizzare la combustione dell’idrogeno. Nebulizzando una piccola quantità d’acqua nell’aria aspirata, si abbassa il picco termico e si riducono le accensioni indesiderate (pre-ignition/knock). In pratica, l’acqua non “alimenta” il motore: fa da moderatore termico, consentendo mappature più spinte e maggiore efficienza energetica.

Durante i test in Ungheria, in collaborazione con HUMDA, il prototipo da 2,0 litri ha mostrato 410 CV: valori da sportiva, ma con una gestione termica sorprendentemente “tranquilla”. È il classico caso in cui un ingrediente umile — l’acqua — sblocca prestazioni e affidabilità.

Come funziona davvero

Il cuore del sistema è una gestione PFI (Port Fuel Injection) calibrata per miscelare aria, idrogeno e acqua con tempi e portate chirurgiche. Così si prevengono hotspot di temperatura e si mantiene la combustione uniforme. La scheda tecnica che fa brillare gli occhi agli appassionati parla di 500 Nm già tra 3.000 e 4.000 giri: coppia pronta, risposta pulita, rumorosità meccanica contenuta.

Ellen Lohr, ex pilota e oggi al timone del motorsport AVL, ha raccontato che un’unità del genere potrebbe scendere in pista “domani mattina”. Non è solo entusiasmo: il motorsport, da sempre, è un banco prova per materiali, raffreddamento e strategie di controllo (vedi le linee guida SAE International sulle architetture di iniezione e controllo knock).

Scena quotidiana: immaginate una salita di montagna con tornanti stretti. Con tanta coppia disponibile in basso, il guidatore non è costretto a “frullare” il motore: l’auto spinge piena e lineare, mentre le temperature rimangono sotto controllo grazie all’acqua.

Dal circuito alla strada di tutti i giorni

Quello che nasce al box, spesso finisce in concessionaria: freni in carbonio, turbo, ibridi… la storia si ripete. Qui il passaggio potrebbe riguardare flotte di veicoli che fanno molti chilometri e hanno bisogno di soste brevi: l’idrogeno ricarica in minuti, e se l’architettura con acqua dimostra robustezza, l’adozione su larga scala diventa meno utopia e più piano industriale. Restano i nodi infrastrutturali e di costo — ed è qui che politiche pubbliche (Commissione Europea), standard tecnici (SAE) e investimenti privati dovranno viaggiare alla stessa velocità.

La domanda finale è semplice: l’acqua “muove” l’auto? No. Ma, usata con criterio, permette al motore a idrogeno di lavorare meglio, più a lungo e con meno rischi. A volte il trucco non è cambiare l’ingrediente principale, ma aggiungerne uno modulare e geniale che fa funzionare la ricetta.

Daniele Bianchi
Daniele Bianchi
Daniele Bianchi, nato a Milano nel 1980, è una figura di spicco nel giornalismo automobilistico italiano. Fin dalla giovane età ha nutrito una passione per le moto e le automobili, che lo ha portato a laurearsi in Comunicazione e Giornalismo all'Università di Bologna. Fondatore di Italiano Enduro, Daniele è conosciuto per la sua competenza tecnica e il suo stile narrativo coinvolgente.
Pubblicato in: Tendenze