Il capolavoro di Sant’Agata Bolognese è una delle auto più iconiche mai realizzate. Eleganza, potenza e innovazione si fondono in un veicolo che ha segnato la storia dell’automobilismo. Ma la Miura, dichiarata capace di raggiungere i 300 km/h, ha davvero mantenuto la promessa? Forse sì, forse no. Eppure, anche se non perfetta, è rimasta un simbolo intramontabile.
Un capolavoro imperfetto, ma eterno
Non tutti i grandi capolavori sono impeccabili. A volte, le imperfezioni riescono a esaltare le qualità, trasformando un buon progetto in una leggenda. La Lamborghini Miura è l’esempio perfetto: prima supercar della storia, prima auto di serie con motore posteriore centrale trasversale e prima vera rivale di Ferrari. Con una velocità dichiarata di 300 km/h, si presentava come l’auto più veloce al mondo. Ma la domanda rimane: li ha mai raggiunti davvero?

Tre menti geniali dietro la Miura
La genesi della Miura è quasi fiabesca. Tre grandi menti hanno collaborato per creare questo gioiello. Marcello Gandini, giovane designer ventisettenne presso Bertone, ha disegnato le sue forme mozzafiato. Gianpaolo Dallara, ingegnere con una passione sfrenata per le corse, ha curato la parte tecnica. E Paolo Stanzani ha mediato tra le loro visioni, coordinandole. A completare il quadro c’è Bob Wallace, pilota e collaudatore neozelandese. Tutti sotto la supervisione di Ferruccio Lamborghini, deciso a far dimenticare il mezzo passo falso della sua prima auto, la 350 GT.

Eleganza e potenza: un toro gentile
Quando la Miura venne presentata al Salone di Ginevra nel 1966, il pubblico rimase a bocca aperta. Le linee di Gandini erano di una bellezza disarmante, anche se l’aerodinamica non era stata proprio una priorità. Si narra che Gandini abbia testato le sue idee usando semplici strisce di lana sul prototipo, un metodo più intuitivo che scientifico.

Tecnicamente, la Miura era una rivoluzione, ma non priva di difetti. Il motore V12 da 350 cavalli era all’altezza delle aspettative, ma l’auto soffriva di scarsa ventilazione, un abitacolo scomodo e una visibilità limitata. Il telaio TP 400, inoltre, si rivelò delicato e richiedeva grande abilità per essere gestito. Nonostante queste pecche, la Miura era accreditata di una velocità massima di 280 km/h nella sua prima versione. Ma da dove proveniva questa cifra? Nessuna omologazione ufficiale: solo la parola di Ferruccio.
La prova del nove
Il famoso magazine francese Sport Auto decise di testare la Miura nel 1967. Con un cronometro alla mano, la velocità massima raggiunta fu di 268 km/h. Un risultato impressionante per l’epoca, ma ben lontano dai 300 km/h dichiarati. Nonostante ciò, nessuno si lamentò troppo. A Sant’Agata, però, sapevano che dovevano fare di meglio.
La Miura S: il passo successivo
Nel 1968, Lamborghini introdusse la Miura S, con un motore potenziato a 370 cavalli, freni migliorati e un telaio rielaborato. Con queste modifiche, l’auto sembrava pronta a raggiungere i famosi 300 km/h. Per verificare, Sport Auto decise di testarla nuovamente, questa volta per celebrare il suo centesimo numero.
L’incarico venne affidato al famoso collaudatore e giornalista José Rosinski. Sull’autostrada italiana, Rosinski spinse la Miura S al massimo, raggiungendo 288,6 km/h a 7.800 giri al minuto. Tuttavia, il vento laterale rendeva l’auto instabile, tanto che lo stesso Rosinski scrisse: “Mi sono fermato per prudenza, la Miura S diventava difficile da controllare”. Quando un pilota esperto come lui si arrende, è facile immaginare cosa significherebbe per un guidatore comune.
La leggenda supera la realtà
Nonostante il risultato, il titolo di Sport Auto recitava con orgoglio: “Miura: 288 km/h”. Nessuno si preoccupò troppo del fatto che mancassero ancora 12 km/h alla promessa. La Miura, con i suoi pregi e i suoi difetti, aveva già conquistato il cuore degli appassionati. Come una vera star, le sue piccole “tragiche imperfezioni” la resero ancora più affascinante.
In fondo, alla Miura si perdona tutto. Perché è più di un’auto: è un simbolo, un’opera d’arte, un sogno su quattro ruote.